Prevenzione e contrasto della violenza di genere
Riassunto
Il Tema della violenza di genere riempie, ormai, le pagine di tutti i giornali portandoci a riflettere sui fattori di rischio ed i mezzi per contrastare il fenomeno. Parlare di questo argomento non può prescindere dal coglierne la complessità e la necessità di valutare, tra i fattori predisponenti, aspetti individuali, psicologici, culturali e sociali. Gli interventi dovrebbero quindi avvenire in una prospettiva multidisciplinare integrata e dovrebbero riguardare gli ambiti culturali, educativi, gruppali, individuali ed includere aspetti legislativi e di politiche sanitarie. Non a caso il modello eziologico privilegiato dall’OMS per spiegare la violenza di genere è quello ecologico di Brofenbrenner in quanto fornisce degli elementi chiave sia per la lettura che per l’intervento sul fenomeno. Il modello ecologico di Bronfenbrenner, concepisce l’ambiente di sviluppo del bambino come una serie di sistemi concentrici, connessi tra loro da relazioni, dirette o indirette.
Cos’è la Violenza di Genere
La violenza contro le donne è stata definita con la Convenzione di Instanbul dell’11 maggio 2011, come:
“una violazione dei diritti umani, una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza che provocano o possono provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce, la coercizione o la privazione della libertà, sia nella vita pubblica che privata.” (Convenzione di Istanbul, art. 3, lettera a).
La dinamica tra l’autore di violenza e la vittima crea un equilibrio tra i due che ne rende difficile l’uscita. Questa è stata descritta molto bene da Leonore Walker che ha parlato di “ciclo della violenza”. Esso è caratterizzato da 4 fasi che si alternano ciclicamente. La ciclicità rende particolarmente difficoltoso per la donna uscire dalla situazione maltrattante, proprio perché il partner alterna momenti di aggressività a momenti di vicinanza e pentimento.
Prevenzione:
Così come evidenziato dal modello ecologico Brofenbrenner, alla base della violenza di genere dobbiamo considerare i diversi sistemi interconnessi legati ad essa: il contesto socioculturale, la personalità dei due attori e la relazione tra loro. Gli interventi di prevenzione non possono non considerare tutti questi elementi.
Sul contesto socioculturale possono agire preventivamente tutti quei fattori protettivi che in generale innalzano la soglia oltre la quale può manifestarsi un disagio (modello vulnerabilità stress-coping) che generano una cultura del rispetto, dell’affettività ed incrementano la consapevolezza individuale e sociale (campagne educative; film; contesti gruppali positivi, creazione di una rete sociale in cui la persona possa crescere e rispecchiarsi positivamente come ;scuole, parrocchie centri sportivi ecc). La prevenzione, però, si attua anche attraverso l’individuazione precoce dei casi a rischio e l’intervento precoce, prima che emergano quegli aspetti di personalità tipici degli attori del processo. Lo sviluppo di una rete di servizi educativi e sociosanitari permetterebbe l’individuazione precoce dei casi a rischio e l’intervento precoce. In tal caso non si parlerebbe di prevenzione primaria, perché non andremmo ad agire sulle cause di un disagio, ma di prevenzione secondaria ovvero diretta ai segni precoci di malessere. Sarebbe importante in tal senso la presenza di figure professionali nelle scuole e nei contesti educativi, in grado di fare da ponte con i servizi sanitari, garantendo interventi precoci sulle situazioni di rischio. La vittima o l’aggressore sono spesso stati bambini dipendenti, oppositivi, tristi, con problemi comportamentali. E’ a quel livello che sarebbe utile dispiegare l’intervento.
La personalità degli attori coinvolti
La personalità della vittima e dell’aggressore spesso, si incastrano generando un equilibrio disfunzionale, ma comunque in grado di ridurre il contatto con un’ angoscia peggiore.
La vittima molto spesso sviluppa una dipendenza affettiva nei confronti del persecutore: l’autore di violenza è anche colui con cui ha sperimentato delle sensazioni positive che vengono idealizzate e permettono di fronteggiare il trauma dell’abbandono o della solitudine o dell’impotenza. Meglio sentirsi speciali e unici piuttosto che non amabili e soli. Come J Knipe spiega (EMDR Toolbox, 2019): molto spesso esperienze molto belle possono essere idealizzate e servirci per evitare un dolore derivante da esperienze passate negative in cui ci siamo sentiti abbandonati, soli, in pericolo, spaventati e che riviviamo anche nel presente. La seduzione che il persecutore esercita sulla vittima con frasi tipo “tu sei l’unica che mi fai stare così bene, sei speciale, cosa mi fai ecc” genera dentro di lei un attaccamento all’esperienza positiva che le permetterà di evitare un dolore più profondo e l’idea inconscia di non essere amabile. Spesso le vittime hanno una storia di abbandoni, svalutazioni, impotenza ecc. Dopo l’aggressione probabilmente sperimenteranno un forte dolore e l’idea di voler abbandonare la relazione, fino a quando il partner “tornerà da loro” chiedendo scusa e riattivando, attraverso la seduzione, le difese di idealizzazione. La vittima preferirà attaccarsi a quel momento di gioia e a all’idea di essere speciale, piuttosto che affrontare il dolore più profondo ed il senso di inutilità a volte derivante dalle prime relazioni con i care-giver. Le vittime possono avere anche un senso di colpa e vergogna strutturale con cui si sono protette da un ambiente infantile poco rassicurante (maltrattante, negligente, trascurante e spaventoso). Nel bambino il bisogno di sicurezza è primario: lui spesso preferisce pensare che è lui a generare i comportamenti negativi dei genitori (mi ha picchiato perché sono cattivo) piuttosto che pensare di non essere al sicuro. Una personalità con un senso di colpa eccessivo, di fronte ad episodi di violenza, potrebbe ritenersi responsabile o pensare di non meritare nulla di meglio. Rispetto all’autore di violenza, possiamo trovare personalità tra loro diverse ma accomunate da alcuni elementi caratteristici. Kernberg ha parlato a tal proposito di “organizzazioni bordeline di personalità” (Otto Kernberg) per designare un gruppo di strutture che si dispiegano lungo un continuum che va dalle psicosi alle nevrosi senza appartenere a questi due gruppi. Per spiegare meglio: nelle psicosi abbiamo un alterato contatto con la realtà e spesso l’assenza di consapevolezza di patologia; nelle nevrosi la problematicità è circoscritta non generando un’alterazione del funzionamento complessivo e del contatto con la realtà; soprattutto c’è consapevolezza di malattia quindi il nevrotico chiede aiuto. Le condizioni limite descritte da Kernberg presentano aspetti del nevrotico (i soggetti sembrano in alcuni momenti totalmente adattati alla realtà) ma anche piccole “rotture psicotiche” dopo le quali generalmente si ricompattano. Tra le personalità borderline possiamo trovare quelle più vicine al “polo delle psicosi” dove prevalgono difese primitive di tipo persecutorio o quelle più vicine alle nevrosi. Un aspetto dell’organizzazione borderline è la presenza di difese primitive come la scissione (la realtà può essere vista in alcuni momenti come bellissima in alcuni momenti come bruttissima, come se il positivo ed il negativo non potessero essere integrati) e l’identificazione proiettiva (parti negative di Sé e scisse vengono messe nell’altro). La relazione con i soggetti borderline è mutevole a causa dei meccanismi di scissione proiezione ed identificazione proiettiva, l’altro viene visto in alcuni momenti come tiranno in altri come totalmente buono. Un altro aspetto peculiare è l’angoscia d’abbandono, per cui la relazione è idealizzata e nel momento in cui non c’è corrispondenza tra la realtà e l’immagine interna, il soggetto subisce una delusione profonda e rabbia che lo porta ad allontanarsi oppure a distruggere la relazione. L’altro è come un oggetto che deve riempire il proprio vuoto interno, per cui la separazione viene vissuta con angoscia e rabbia: “nel momento in cui non sei come l’immagine idealizzata che porto nella mente allora ti distruggo”. In queste organizzazioni possiamo trovare personalità con difese maggiormente narcisistiche altre dove prevalgono aspetti impulsivi altre con aspetti paranoidei. Nel caso dei “narcisiti maligni” stando a Kernberg (1984), il senso grandioso di Sé viene alimentato attraverso il dominio dell’altro e la crudeltà. Invece di sentirsi non amabile, il soggetto si sente grandioso attraverso il dominio dell’altro.
Quando le personalità borderline diventano violente
La violenza può scattare sotto l’effetto di una sostanza oppure tutte le volte in cui l’oggetto d’amore non corrisponde all’ideale di salvezza che il soggetto porta nella mente. Spesso il fatto che l’altro non sia sotto il proprio controllo, genera deliri di gelosia oppure delle ferite al proprio senso di grandiosità. Nelle organizzazioni borderline maggiormente orientate verso la psicosi (narcisismo maligno; psicopatia) troviamo il distacco emotivo, fascino superficiale, grandioso senso del valore personale, intelligenza manipolativa, assenza di segni di sofferenza psichica, egocentrismo patologico, incapacità di provare amore o affetto, irresponsabilità, relazioni sentimentali brevi, tendenza alla criminalità. (V.Carretti). Qui la violenza è indotta dalla mancanza di empatia e la relazione con l’altro basata sulla manipolazione e la menzogna.
I servizi territoriali per il contrasto della violenza sono:
Centri Anti violenza
Le donne vittime di violenza possono essere accolte nei Centri Antiviolenza a titolo gratuito indipendentemente dal luogo di residenza. Il centro antiviolenza si occupa di elaborazione di un progetto di uscita dalla violenza sulla base dei bisogni della donna e rafforzando autonomia e indipendenza ; il centro offre ascolto, accoglienza, assistenza psicologica, legale, orientamento al lavoro ed all’ autonomia abitativa.
Case rifugio
Le Case rifugio sono strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro, a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l’obiettivo di proteggere le donne che hanno subito violenza e i/le loro figli/figlie e di salvaguardarne l’incolumità fisica e psichica.
Case della semi autonomia
Accolgono donne che hanno subito violenza e i loro figli/figlie, trasferite dalle Case rifugio che necessitano di servizi di supporto e accompagnamento nel graduale reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo, al fine del progressivo raggiungimento dell’autonomia della donna tramite progetti personalizzati.
L’autonomia, l’uscita dalla gabbia della sofferenza è possibile e auspicabile, primo passo è pensare di non essere responsabili, di non essere soli. Una buona psicoterapia può aiutare la donna a superare l’eventuale dipendenza. I servizi territoriali possono fornire aiuti concreti e legali. Anche gli autori di violenza possono essere trattati in conformità alle linee guida. Il Coordinamento Italiano Centri Trattamento Uomini Autori di Violenza ha elaborato le “Linee guida nazionali dei programmi di trattamento per uomini autori di violenza contro le donne nelle relazioni affettive”. La psicoterapia invece, è efficace nel trattamento degli uomini autori di violenza? Questo dipende dal caso e dalla personalità sottostante. In generale tanto più è precoce l’intervento tanto più ci sono buone prospettive per una sua efficacia. In alcune tipologie di personalità adulte, però, l’intervento potrebbe essere inefficace e controproducente. Eclatante, ad esempio, fu il caso di Angelo Izzo, conosciuto come il “mostro del Circeo”, che dopo anni di reclusione ed aver effettuato una psicoterapia, mandato in semilibertà uccise di nuovo 2 donne che furono legate, soffocate e poi sepolte nel cortile di una villetta. Secondo alcune ricerche la psicoterapia è inefficace nel trattamento di soggetti che mostrano un disturbo psicopatico, infatti troviamo bassi indici di recupero; scarsa motivazione, alto tasso di abbandono delle psicoterapie. Allo stato dell’attuale letteratura anche i trattamenti per il disturbo antisociale si sono rivelati inefficaci :il 42% peggiora, il 27% ha una remissione spontanea e il 31% non si sa o migliora in parte (Black 1995-2015). Nel caso di altri disturbi, invece, non solo il trattamento è efficace ma anche auspicabile.
Prevenzione e contrasto della
Violenza di genere
Il Tema della violenza di genere riempie, ormai, le pagine di tutti i giornali portandoci a riflettere sui fattori di rischio ed i mezzi per contrastare il fenomeno. Parlare di questo argomento non può prescindere dal coglierne la complessità e la necessità di valutare, tra i fattori predisponenti, aspetti individuali, psicologici, culturali e sociali. Gli interventi dovrebbero quindi avvenire in una prospettiva multidisciplinare integrata e dovrebbero riguardare gli ambiti culturali, educativi, gruppali, individuali ed includere aspetti legislativi e di politiche sanitarie. Non a caso il modello eziologico privilegiato dall’OMS per spiegare la violenza di genere è quello ecologico di Brofenbrenner in quanto fornisce degli elementi chiave sia per la lettura che per l’intervento sul fenomeno. Il modello ecologico di Bronfenbrenner, concepisce l’ambiente di sviluppo del bambino come una serie di sistemi concentrici, connessi tra loro da relazioni, dirette o indirette, e ordinati gerarchicamente.Il bambino è direttamente in contatto con due di questi livelli, il microsistema e il mesosistema. Invece, dell’esosistema e del macrosistema, il bambino non fa esperienza diretta. È in questa cornice complessa di sistemi interconnessi che si sviluppa la violenza contro le donne.
Cos’è la Violenza di Genere
La violenza contro le donne è stata definita con la Convenzione di Instanbul dell’11 maggio 2011, come:
“una violazione dei diritti umani, una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza che provocano o possono provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce, la coercizione o la privazione della libertà, sia nella vita pubblica che privata.” (Convenzione di Istanbul, art. 3, lettera a).
La convenzione definisce inoltre “violenza domestica” come “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”;
per “genere” si intendono: “tutti i ruoli socialmente costruiti, comportamenti, attività e attributi che una data società ritenga appropriati per le donne e gli uomini.; la “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato”
L’articolo 7 richiede agli Stati l’adozione di “politiche nazionali efficaci” per contrastare il fenomeno.
Gli attori sono quindi un uomo e una donna tra cui, spesso, si instaura una dinamica particolare, spesso una co-dipendenza per cui nessuno dei due riesce ad uscire dal ciclo. Diversa invece la situazione della vittima di stolking che non necessariamente può avere o aver avuto un rapporto con l’aggressore.
La dinamica tra l’autore di violenza e la vittima è stata descritta molto bene da Leonore Walker che ha parlato di “ciclo della violenza”. Esso è caratterizzato da 4 fasi che si alternano ciclicamente. La ciclicità rende particolarmente difficoltoso per la donna uscire dalla situazione maltrattante, proprio perché il partner alterna momenti di aggressività a momenti di vicinanza e pentimento. Le fasi prevedono:
- La crescita della tensione dove il partner inizia ad assumere un atteggiamento ostile e scontroso, la donna avverte che la tensione cresce e cerca di ridurla e di prevenire l’escalation andando incontro ai bisogni del partner e sopprimendo i suoi.
- L’esplosione della violenza in essa si verificano episodi di violenza verbale agita attraverso minacce, denigrazioni urla a cui seguono episodi di violenza fisica attraverso una escalation che parte da spintoni, immobilizzazioni per arrivare a schiaffi, pugni strangolamenti e in alcuni casi violenza sessuale.
- Fase della luna di miele è una fase abbastanza breve che segna un termine apparente della violenza, l’aggressore finge di assumere sensi di colpa o rimorsi e promette di cambiare, si dimostra attento e premuroso. Si possono verificare minacce di suicidio manipolative.
- Lo scarico delle responsabilità il compagno proietta esternamente la responsabilità del proprio agire su cause esterne alla coppia (perdita di lavoro, stress, malattia) oppure sulla donna, facendola sentire responsabile e alimentando in lei l’illusione di poterlo cambiare .
Prevenzione
Così come evidenziato dal modello ecologico Brofenbrenner, alla base della violenza di genere dobbiamo considerare i diversi sistemi interconnessi legati ad essa: il contesto socioculturale, la personalità dei due attori e la relazione tra loro. Gli interventi di prevenzione non possono non considerare tutti questi elementi.
Sul contesto socioculturale possono agire preventivamente tutti quei fattori protettivi che in generale innalzano la soglia oltre la quale può manifestarsi un disagio (modello vulnerabilità stress-coping) che generano una cultura del rispetto, dell’affettività ed incrementano la consapevolezza individuale e sociale (campagne educative; film; contesti gruppali positivi, creazione di una rete sociale in cui la persona possa crescere e rispecchiarsi positivamente come ;scuole, parrocchie centri sportivi ecc). L’educazione affettiva nelle scuole di cui si è tanto parlato, è forse solo un piccolo tassello di un lavoro più ampio che dovrebbe essere fatto per incrementare i fattori di protezione per un sano sviluppo psicologico. La prevenzione, però, si attua anche attraverso l’individuazione precoce dei casi a rischio e l’intervento precoce, prima che emergano quegli aspetti di personalità tipici degli attori del processo. Lo sviluppo di una rete di servizi educativi e sociosanitari permetterebbe l’individuazione precoce dei casi a rischio e l’intervento precoce. In tal caso non si parlerebbe di prevenzione primaria, perché non andremmo ad agire sulle cause di un disagio, ma di prevenzione secondaria ovvero diretta ai segni precoci di malessere. Sarebbe importante in tal senso la presenza di figure professionali nelle scuole e nei contesti educativi, in grado di fare da ponte con i servizi sanitari, garantendo interventi precoci sulle situazioni di rischio. La vittima o l’aggressore sono spesso stati bambini dipendenti, oppositivi, tristi, con problemi comportamentali. E’ a quel livello che sarebbe utile dispiegare l’intervento.
La personalità degli attori coinvolti
La personalità della vittima e dell’aggressore spesso, si incastrano generando un equilibrio disfunzionale, ma comunque in grado di ridurre il contatto con un’ angoscia peggiore.
La vittima molto spesso sviluppa una dipendenza affettiva nei confronti del persecutore: l’autore di violenza è anche colui con cui ha sperimentato delle sensazioni positive che vengono idealizzate e permettono di fronteggiare il trauma dell’abbandono o della solitudine o dell’impotenza. Meglio sentirsi speciali e unici piuttosto che non amabili e soli. Come J Knipe spiega (EMDR Toolbox, 2019): molto spesso esperienze molto belle possono essere idealizzate e servirci per evitare un dolore derivante da esperienze passate negative in cui ci siamo sentiti abbandonati, soli, in pericolo, spaventati e che riviviamo anche nel presente. Più sono forti le esperienze di “sollievo” insite nell’esperienza positiva e quelle di dolore legato al trauma, più potremmo diventare dipendenti da queste. La seduzione che il persecutore esercita sulla vittima con frasi tipo “tu sei l’unica che mi fai stare così bene, sei speciale, cosa mi fai ecc” genera dentro di lei un attaccamento all’esperienza positiva che le permetterà di evitare un dolore più profondo e l’idea inconscia di non essere amabile. Spesso le vittime hanno una storia di abbandoni, svalutazioni, impotenza ecc. Dopo l’aggressione probabilmente sperimenteranno un forte dolore e l’idea di voler abbandonare la relazione, fino a quando il partner “tornerà da loro” chiedendo scusa e riattivando, attraverso la seduzione, le difese di idealizzazione. La vittima preferirà attaccarsi a quel momento di gioia e a all’idea di essere speciale, piuttosto che affrontare il dolore più profondo ed il senso di inutilità a volte derivante dalle prime relazioni con i care-giver. Le vittime possono avere anche un senso di colpa e vergogna strutturale con cui si sono protette da un ambiente infantile poco rassicurante (maltrattante, negligente, trascurante e spaventoso). Nel bambino il bisogno di sicurezza è primario: lui spesso preferisce pensare che è lui a generare i comportamenti negativi dei genitori (mi ha picchiato perché sono cattivo) piuttosto che pensare di non essere al sicuro. Una personalità con un senso di colpa eccessivo, di fronte ad episodi di violenza, potrebbe ritenersi responsabile o pensare di non meritare nulla di meglio. Tali pensieri sono spesso confermati dal persecutore che, invece, tende a proiettare all’esterno le proprie difficoltà ritenendo la vittima la responsabile dei propri accessi di collera. Frasi tipiche del persecutore sono “guarda cosa mi hai fatto fare”.
Rispetto all’autore di violenza, possiamo trovare personalità tra loro diverse ma accomunate da alcuni elementi caratteristici. Kernberg ha parlato a tal proposito di “organizzazioni bordeline di personalità” (Otto Kernberg) per designare un gruppo di strutture che si dispiegano lungo un continuum che va dalle psicosi alle nevrosi senza appartenere a questi due gruppi. Per spiegare meglio: nelle psicosi abbiamo un alterato contatto con la realtà e spesso l’assenza di consapevolezza di patologia; nelle nevrosi la problematicità è circoscritta non generando un’alterazione del funzionamento complessivo e del contatto con la realtà; soprattutto c’è consapevolezza di malattia quindi il nevrotico chiede aiuto. Le condizioni limite descritte da Kernberg presentano aspetti del nevrotico (i soggetti sembrano in alcuni momenti totalmente adattati alla realtà) ma anche piccole “rotture psicotiche” dopo le quali generalmente si ricompattano. Tra le personalità borderline possiamo trovare quelle più vicine al “polo delle psicosi” dove prevalgono difese primitive di tipo persecutorio o quelle più vicine alle nevrosi. I tre aspetti delle organizzazioni borderline sono: 1“l’identità diffusa” ovvero la mancanza di integrazione del Sé (è come se in ogni momento emergessero aspetti diversi della personalità totalmente separati l’uno dall’altro) 2 “l’esame di realtà”, non è totalmente compromesso, ma fluttuante: in alcuni momenti i soggetti borderline possono regredire a posizioni paranoidi o avere delle pseudoallucinazioni o degli pseudoleliri per poi “ricompattarsi”. Il terzo meccanismo dell’organizzazione borderline è la presenza di difese primitive come la scissione (la realtà può essere vista in alcuni momenti come bellissima in alcuni momenti come bruttissima, come se il positivo ed il negativo non potessero essere integrati) e l’identificazione proiettiva (parti negative di Sé e scisse vengono messe nell’altro). La relazione con i soggetti borderline è mutevole a causa dei meccanismi di scissione proiezione ed identificazione proiettiva, l’altro viene visto in alcuni momenti come tiranno in altri come totalmente buono. Un altro aspetto peculiare è l’angoscia d’abbandono, per cui la relazione è idealizzata e nel momento in cui non c’è corrispondenza tra la realtà e l’immagine interna, il soggetto subisce una delusione profonda e rabbia che lo porta ad allontanarsi oppure a distruggere la relazione. L’altro è come un oggetto che deve riempire il proprio vuoto interno, per cui la separazione viene vissuta con angoscia e rabbia: “nel momento in cui non sei come l’immagine idealizzata che porto nella mente allora ti distruggo”. In queste organizzazioni possiamo trovare personalità con difese maggiormente narcisistiche altre dove prevalgono aspetti impulsivi altre con aspetti paranoidei. Nel caso dei “narcisiti maligni” stando a Kernberg (1984), il senso grandioso di Sé viene alimentato attraverso il dominio dell’altro e la crudeltà. Invece di sentirsi non amabile, il soggetto si sente grandioso attraverso il dominio dell’altro.
Quando le personalità borderline diventano violente?
La violenza può scattare sotto l’effetto di una sostanza oppure tutte le volte in cui l’oggetto d’amore non corrisponde all’ideale di salvezza che il soggetto porta nella mente. Spesso il fatto che l’altro non sia sotto il proprio controllo, genera deliri di gelosia oppure delle ferite al proprio senso di grandiosità. Nelle organizzazioni borderline maggiormente orientate verso la psicosi (narcisismo maligno; psicopatia) troviamo il distacco emotivo, fascino superficiale, grandioso senso del valore personale, intelligenza manipolativa, assenza di segni di sofferenza psichica, egocentrismo patologico, incapacità di provare amore o affetto, irresponsabilità, relazioni sentimentali brevi, tendenza alla criminalità. (V.Carretti). Qui la violenza è indotta dalla mancanza di empatia e la relazione con l’altro basata sulla manipolazione e la menzogna. In base a quello che abbiamo detto come dispiegare un intervento precoce?
Come dispiegare un intervento precoce?
Durante l’infanzia è possibile intervenire sui bambini che presentano disturbi del comportamento, disturbi oppositivi provocatori, esplosivo-intermittente ecc; per ciò che riguarda la vittime possono manifestarsi aspetti depressivi o di ansia da separazione già durante l’infanzia; nel corso dell’adolescenza depressioni, disturbi alimentari, disturbi d’ansia o di panico, eccessivi sensi di colpa ecc. Chiaramente non è detto che questi disagi evolveranno verso la patologia, ma è anche vero che soggetti borderline sono stati spesso bambini con disturbo oppositivo provocatorio o esplosivo intermittente; a volte hanno avuto problemi comportamentali da bambini ecc. Quindi cogliere i segni precoci di un malessere, prima che esso si manifesti in maniera conclamata, rappresenta sempre un grande strumento di contrasto.
Quali passi sono stati fatti sulla violenza di genere
Piano Normativo:
1) 11 Maggio 2011 La Convenzione di Istanbul.
Si tratta del primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. è incentrata sulla prevenzione della violenza domestica, proteggere le vittime e perseguire i trasgressori.
Essa caratterizza la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione (art. 3 lett. a). I paesi dovrebbero esercitare la dovuta diligenza nel prevenire la violenza, proteggere le vittime e perseguire i colpevoli (art. 5).
E’ stata approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l’11 maggio 2011 a Istanbul (Turchia). È stato firmato da 32 paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo paese a ratificare la Convenzione.
- L’Italia ha sottoscritto la Convenzione il 27 settembre 2012 e l’ha ratificata con la legge 77/2013. È entrata in vigore il 1° agosto 2014, a seguito del raggiungimento del prescritto numero di dieci ratifiche.
- Il DL 14 agosto 2013, n. 93 ha previsto un Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere adottato con D.P.C.M. 7 luglio 2015. Tale decreto ha cercato di dare attuazione ad interventi che consistono nella valorizzazione dei progetti territoriali, nella formazione degli operatori impegnati negli interventi, nel sostegno all’emancipazione delle donne maltrattate dalla condizione di vulnerabilità attraverso percorsi di inserimento lavorativo e l’aiuto per l’autonomia abitativa, nel sostegno alle iniziative di prevenzione culturale della violenza sessuale e di genere, soprattutto sul fronte dell’educazione e del recupero.
4 ) In seguioto è stato creato un osservatorio nazionale sul fenomeno della violenza
- ll provvedimento molto importante nel contrasto della violenza di genere è stato la legge n. 69 del 2019(c.d. codice rosso), che ha rafforzato le tutele processuali delle vittime di reati violenti, con particolare riferimento ai reati di violenza sessuale e domestica, ha introdotto alcuni nuovi reati nel codice penale (tra cui il delitto di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, quello di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti e quello di costrizione o induzione al matrimonio) ed aumentato le pene previste per i reati che più frequentemente sono commessi contro vittime di genere femminile (maltrattamenti, atti persecutori, violenza sessuale).
- Con il DPCM del 24/11/2017 sono state introdotte le linee guida nazionali per le Aziende sanitarie e le Aziende ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza
- 2027-2020 è stato redatto il piano strategico nazionale contro la violenza maschile sulle donne 2017-2020
- Infine ci sono state leggi di riforma del processo penale: L. n. 134 del 2021 ha previsto un’estensione della tutela per le vittime di violenza domestica; mentre le L. 53 del 2022 ha potenziato la raccolta di dati statistici sulla violenza di genere.; legge 12 del 2023 prevede l’Istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere.
Piano dei servizi territoriali:
La Regione Lazio con la Legge 19 marzo 2014 ha definito le strutture di accoglienza e sostegno per le donne vittime di violenza, distinguendole in Centri antiviolenza, Case rifugio e Case della semi-autonomia. Il coordinamento delle azioni previste per aiutare la donna è svolto dalle Asl, che forniscono supporto attraverso percorsi specifici e un approccio integrato. Lo scopo è di proteggerla ed allontanarla dalla situazione pericolosa e fornirle assistenza psicologica, legale, abitativa ed accompagnarla verso l’autonomia. Un momento importante del percorso della donna verso l’autonomia è rappresentato dall’accesso in pronto soccorso.
Pronto Soccorso e Codice Rosa
Quando la donna accede al pronto soccorso, il personale infermieristico addetto al “traige” procede tempestivamente al riconoscimento dei segni di violenza anche se non dichiarata. Alla violenza viene attribuito un codice di urgenza relativa (codice giallo o equivalente) per garantire una visita medica tempestiva (tempo di attesa massimo 20 minuti) e ridurre al minimo il rischio di ripensamenti. Sono attivi dei percorsi speciali per chi subisce violenza, contrassegnati da un codice rosa.
La donna presa in carico, viene accompagnata in un’area protetta separata dalla sala d’attesa che le assicuri sicurezza. L’area protetta rappresenta il luogo in cui la donna viene sottoposta ad accertamenti strumentali e clinici; qui viene ascoltata ed accolta, viene rilevata la violenza subita; vengono valutati i rischi di recidiva o letalità ed informata sui centri antiviolenza presenti sul territorio, sui servizi pubblici e sulla possibilità di sporgere denuncia.
La successiva visita medica è un’occasione irripetibile per garantire assistenza alle necessità psicologiche e sanitarie della donna. Al termine della fase diagnostica viene somministrato lo strumento “Brief Risk Assessmente for the Emergncy Departmentindicato” indicato dal ministero della salute per valutare il rischio di recidiva e letalità. In caso di rischio medio alto è possibile prospettare alla donna la possibilità di restare in ambiente ospedaliero per 36/72 ore al fine di garantirle la protezione. L’operatrice di pronto soccorso nel frattempo contatterà le strutture territoriali antiviolenza, verrà nominato un referente di progetto e le Asl, nel rispetto delle linee guida nazionali e regionali, si occuperanno di coordinare i vari servizi e trasmettere periodicamente ai referenti regionali, una relazione sull’andamento del percorso. Il percorso è finalizzato all’uscita della donna dalla situazione di violenza ed al recupero della propria autonomia.
Centri Anti violenza
Le donne vittime di violenza possono essere accolte nei Centri Antiviolenza a titolo gratuito indipendentemente dal luogo di residenza. Non è consentito l’accesso in queste strutture agli autori di violenza. Il centro antiviolenza si occupa di :
- Elaborazione di un progetto di uscita dalla violenza sulla base dei bisogni della donna e rafforzando autonomia e indipendenza
- Stabilire il grado di pericolosità del partner ed elaborare un piano per la sicurezza
- Individuare reti di sostegno e risorse
- Rispettare l’autodeterminazione e anonimato
Il centro offre:
- Ascolto
- Accoglienza
- Assistenza psicologica
- Assistenza legale
- Supporto ai minori vittime di violenza assistita
- Orientamento al lavoro
- Orientamento all’autonomia abitativa
Case rifugio
Le Case rifugio sono strutture dedicate, a indirizzo segreto, che forniscono alloggio sicuro, a titolo gratuito e indipendentemente dal luogo di residenza, con l’obiettivo di proteggere le donne che hanno subito violenza e i/le loro figli/figlie e di salvaguardarne l’incolumità fisica e psichica.
Case della semi autonomia
Accolgono donne che hanno subito violenza e i loro figli/figlie, trasferite dalle Case rifugio che necessitano di servizi di supporto e accompagnamento nel graduale reinserimento nel tessuto sociale e lavorativo, al fine del progressivo raggiungimento dell’autonomia della donna tramite progetti personalizzati.
L’autonomia, l’uscita dalla gabbia della sofferenza è possibile e auspicabile, primo passo è pensare di non essere responsabili, di non essere soli. Una buona psicoterapia può aiutare la donna a superare l’eventuale dipendenza. I servizi territoriali possono fornire aiuti concreti e legali. Anche gli autori di violenza possono essere trattati in conformità alle linee guida. Il Coordinamento Italiano Centri Trattamento Uomini Autori di Violenza ha elaborato le “Linee guida nazionali dei programmi di trattamento per uomini autori di violenza contro le donne nelle relazioni affettive”. Tali linee guida si ispirano alle linee guida europee emerse dal progetto “Work with Perpetrators of Domestic Violence in Europe – WWP” (2018), nelle quali si afferma che i programmi dovrebbero integrare approcci culturali e clinici al fine di promuovere un cambiamento negli atteggiamenti e comportamenti.
La psicoterapia invece,
è efficace nel trattamento degli uomini autori di violenza?
Questo dipende dal caso e dalla personalità sottostante. In generale tanto più è precoce l’intervento tanto più ci sono buone prospettive per una sua efficacia. In alcune tipologie di personalità adulte, però, l’intervento potrebbe essere inefficace e controproducente. Eclatante, ad esempio, fu il caso di Angelo Izzo, conosciuto come il “mostro del circeo”, che dopo anni di reclusione ed aver effettuato una psicoterapia, mandato in semilibertà uccise di nuovo 2 donne che furono legate, soffocate e poi sepolte nel cortile di una villetta. Secondo alcune ricerche la psicoterapia è inefficace nel trattamento di soggetti che mostrano un disturbo psicopatico, infatti troviamo bassi indici di recupero; scarsa motivazione, alto tasso di abbandono delle psicoterapie.
Allo stato dell’attuale letteratura anche i trattamenti per il disturbo antisociale si sono rivelati inefficaci :il 42% peggiora, il 27% ha una remissione spontanea e il 31% non si sa o migliora in parte (Black 1995-2015). Nel caso di altri disturbi, invece, non solo il trattamento è efficace ma anche auspicabile.
Concludiamo questo articolo fornendo informazioni importanti sui servizi territoriali:
L’accesso ai Centri antiviolenza è garantito attraverso i numeri di contatto telefonico con reperibilità h24
- Centro antiviolenza “Sapienza” – 366 5479783
- Centro antiviolenza “Elena Gianini Belotti” – 347 8547714
- Centro antiviolenza “Sara di Pietrantonio” – 06/57331522
- Centro antiviolenza “Università della Tuscia” – 344 4153580
- Centro antiviolenza “Università di Cassino” – 345 8337033